Adesso che, sono finalmente giunto innanzi al mio eroe preferito, i miei
pensieri vengono interrotti da un fremito, un fremito proveniente dalla
doppia fiamma che si dimena davanti ai miei occhi, e inaspettatamente
è la lingua più piccola che inizia a parlarmi.
D “Chi sei tu che pretendi di parlare
a Ulisse, quando neanche il Divino poeta osò tanto?”.
E “Scusa Diomede ma io ho chiesto l’autorizzazione
per questa intervista”.
D “Giovanotto, tu hai chiesto l’autorizzazione
a scendere in questo luogo dimenticato da Dio, non a intervistare il mio
grande amico”.
E “Per piacere lasciami parlare con lui. Ricordo
ancora, quando bambino vidi l’Odissea in televisione e quell’uomo
vecchissimo che declamava i versi del poema all’inizio di ogni puntata;
sapevo che non era Omero, ma capivo che era un grande uomo. Anni dopo
seppi che era Giuseppe Ungaretti”.
D “Che c’entra?”.
E “Per me Ulisse è la grandezza e la grandezza
è Ulisse …”.
Fu come un crepitio, poi la fiamma più piccola
arretrò lasciando avanzare la lingua più grande, che quasi
sembrò prendere la fisionomia di un volto incorniciato da una barba
e …, e parlò.
U “Grazie Diomede, amico mio ma
questo ragazzo è simpatico, un po’ tocco ma divertente”.
E “Grazie Ulisse”.
U “Chiedimi pure quello che vuoi ragazzo?”.
Chissà come mai in tutte queste interviste sono
trattato come un giovane? Che sia un buon segno?
E “Ulisse inizierei con una domanda,
che spero non urti la tua sensibilità”.
U “Procedi pure, ti accorgerai che non è
facile scalfire la mia sensibilità”.
E “ Ho sempre avuto qualche perplessità
sulla figura di Achille. Troppo facile fare l’eroe quando si è
quasi totalmente invulnerabili e si gode della protezione degli Dei. Mi
sembra che ben altro sia lo spessore eroico di Ettore. Ecco, tu chi ritieni
sia stato più valente fra i due eroi?”.
U “Guarda, non è che amassi molto Achille,
un bestione ottuso e iracondo sempre pronto a menar le mani, ma anche
Ettore, mi dispiace deluderti, non era niente di che. Troppo bigotto e
poi quell’ostinazione a voler difendere a tutti i costi il debosciato
del fratello Paride.
Ma ciò che meno ti piacerà è che, il famoso “Domatore
di cavalli”, era un vigliacco”.
E “Un vigliacco?”.
U “Anzi, ti dirò di più; Ettore è
morto grazie alla sua vigliaccheria”.
E “Scusa Ulisse, ma questa mi sembra proprio grossa!?!”.
U “Vedi, Ettore era un grande stratega, sotto la
sua guida l’esercito troiano non ha mai fatto un errore, e un guerriero
così intelligente, così esperto, certo sapeva che uno scontro
frontale con Achille era solo un suicidio, e sapeva anche che con la sua
morte prima o poi Troia sarebbe capitolata.
Poi quel giorno, il Pelide era così furente e spaventevole, che
anch’io, pur non dovendolo affrontare, ne ero intimorito”.
E “Ma all’inizio del combattimento Ettore
scappo?”.
U “Infatti, era la scelta giusta! Io non so se
pensava di sfuggire al mirmidone, o se era una tattica per fiaccarne le
forze, d’altronde, quello che pochi sanno è che Ettore era
più veloce di Achille. Ma poi il troiano, giunto al terzo periplo
delle mura di Troia ebbe paura della sua paura.
Probabilmente fu il vedere lo sguardo attonito dei suoi concittadini,
che dall’alto delle mura lo guardavano scappare, forse fu il correre
al disprezzo che avrebbe letto in suo figlio una volta cresciuto, forse,
forse non so, ma Ettore stoltamente e vigliaccamente si fermò.
Prima scagliò la sua asta Achille, senza cogliere il bersaglio,
poi fu la volta di Ettore, ma la sua lancia s’infranse sullo scudo
del rivale. In quel momento, il figlio di Priamo capì di essere
perduto; avrebbe voluto riprendere la fuga, ma il destino beffardo, congelando
le sue membra per la paura, salvò il suo onore.
La spada di Achille le carni del collo crudelmente gli lacero”.
E “Certo che poi Achille mancò di rispetto
a Ettore, trascinandolo in quel modo dietro al suo carro!”.
U “Guarda, non te la prendere tanto calda, nessuno
mi toglie di mente che in realtà il prode Ettore passasse buona
parte del suo tempo a cercare di dare una bella ‘botta’ a
quella figacciona di Elena”.
E “Ma Ulisse, ti sembra questo il modo di esprimerti?”.
U “Ho capitooo, la tua conoscenza della nostra
storia deriva dal quel film, come si chiama? A sì, Troy. Vediamo
di chiarirci le idee: Brad Pitt ed Eric Bana dimenticali! Tu pensa a due
energumeni tozzi, neanche tanto alti, con le barbe incolte e un po’
sporchi. Io stesso una bellezza non ero: basso, tarchiato, barba nera
lunga, capelli ricci e uno sguardo più da ladro che da principe.
D’altronde a quei tempi se non eri svelto di mano campavi poco”.
Sono esterrefatto, deluso, incredulo. Penso a tutte le donne a cui Ulisse
ha ferito il cuore: Calipso. Circe, Nausica e Penelope.
U “Ragazzo, io pensavo già di essere abbastanza
monocorde, ma tu pensi proprio solo a quello è?”.
E “Ma come fai a sapere quello che ho pensato?”.
U “Sai, c’è anche qualche vantaggio
a essere morto, eh eh”. Comunque ai miei tempi ero quello che si
dice un bel tipo, poi ti assicuro che anche oggi i tipi duri e decisi
hanno un loro mercato”.
E “ Forse è meglio se cambiamo argomento”.
U “Sì penso anch’io”.
E intanto mi guarda ironico.
E “Parliamo del tuo avversario più impressionante,
il ciclope Polifemo”.
U “Avrei voluto non parlare di ‘Poli’”.
E “Perché?”.
U “Beh, vedi, la storia non è andata proprio
come si racconta”.
E “A questo punto gradirei ascoltarla”.
U “Beh, innanzi tutto era si grande, ma non proprio
come si dice. Era un pezzo d’uomo di oltre due metri e ti assicuro
che per l’epoca era gigantesco; lo stesso Aiace, il più grosso
di noi Achei, non arrivava a un metro e ottanta”.
E “Comunque aveva un occhio solo sulla fronte”.
U “Più che altro era guercio, aveva perso
un occhio in un incidente da bambino. E poi era debole di mente. I suoi
fratelli gli avevano dato da guardare le pecore perché era l’unica
occupazione che fosse in grado di svolgere”.
E “Ma allora tutto quello che si racconta …?”.
U “Quel mattino sbarcammo dalla nave già
un po’ alticci e quando vedemmo le pecore di ‘Poli’
ci avventammo su di esse sgozzandole senza misericordia; e non una due,
ma come accecati da una furia omicida insensata ne uccidemmo almeno una
ventina. Continuammo nella nostra strage sino a quando afferrai l’armento
preferito di Polifemo, il grosso montone; solo a quel punto il gigante
intervenne pregandomi di risparmiarlo. Ma io ero Ulisse, non potevo certo
ascoltare le preghiere di un bifolco per quanto grosso fosse e così
tagliai la gola alla povera bestia irridendo il gigante. Fu a quel punto
che il Ciclope, pazzo di rabbia e di dolore ci assalì e nonostante
le dimensioni si dimostrò maledettamente agile e veloce. Riuscì
con la sua mazza a fracassare la testa a sei miei compagni e nel frattempo
urlando a squarciagola chiamava i suoi fratelli che, pur non alti come
lui erano degli energumeni di tutto rispetto. La situazione si stava facendo
difficile, allora, senza farmi notare, dissi a due dei miei compagni di
piazzarsi dietro il gigante tendendo tirata una corda, quindi predisposta
la trappola, lo fronteggiai con la mia spada, facendo comunque ben attenzione
a non avvicinarmi troppo, ma riuscendo a farlo indietreggiare quel tanto
che bastò a farlo inciampare nella canapa tenuta tesa dai miei
uomini. Non persi tempo, gli volai subito addosso e con un bastone appuntito
gli cavai l’occhio che gli era rimasto. Non contento incominciai
a urlare verso i fratelli che si vedevano arrivare in distanza, che anche
un signor nessuno come me era riuscito ad avere la meglio su quel finocchio
del loro fratello. Solo allora, con le mani ancora lorde di sangue scappammo
rapidi e sghignazzanti verso la nostra nave”.
E “Ma è terribile!”.
U “Trovi?”.
E “Dov’è finito l’eroe che conoscevo?
Il latte della mia fantasia erano le tue gesta, i miei ideali si dissetavano
all’idea del tuo spirito indomito”.
U “E bravo hai proprio capito tutto!?! Quindi per
essere un eroe bisogna essere belli, mossi da nobili sentimenti, oltre
che essere di sangue nobile e forte, fortissimi. Il bello è che
tu stesso hai messo in discussione l’eroismo di Achille perché
invulnerabile”.
E “E’ vero, ma uno straccio di ideali ci
vogliono e poi quella crudeltà insensata”.
U “Già tu non uccideresti mai un agnellino!
Ne mangi la carne, ma certo solo il giusto”.
E “Sì qualche contraddizione non possiamo
non averla, non sto mica parlando di perfezione”.
U “Dei dell’Olimpo quanto sei stupido ragazzo!
Pensa, voi avete paura dei vostri complessi, non avete il coraggio di
dire alla vostra donna che l’amate, tremate al pensiero che gli
scaffali dei vostri negozi siano vuoti e se avete un raffreddore fate
testamento. Noi vivevamo in un modo ostile e sconosciuto, un tuono era
la voce benevola o irata di un Dio, dietro ogni albero si poteva celare
una fiera spietata, per non parlare che potevi trovarti una spada piantata
nella schiena in qualsiasi momento. Alla fin fine arrivare al giorno dopo
con la pancia piena era già un traguardo. E gli uomini, la maggior
parte degli uomini avevano bisogno di un leader che li guidasse a vedere
l’alba dell’indomani. Così diventavi un condottiero,
un re, un eroe, anche se principalmente lo facevi per la tua pancia. Ho
sempre avuto in uggia quegli smidollati che ti criticano per le tue scelte,
per le tue azioni, mentre loro si guardano bene dallo sporcarsi le mani
e rimangano sempre solo a guardare, sempre solo a dire quanto sei cattivo.
Ma mangiare mangiano anche loro, eccome se mangiano”.
E “Certo non voglio toglierti i tuoi meriti e so
che scegliere significa anche sbagliare, ma allora non capisco perché
sei partito per quel tuo ultimo viaggio senza ritorno. La pancia e il
nerbo li avevi ormai soddisfatti?”.
U “Perché sono un uomo!”.
E “Che vuol dire?”.
U “Noi esseri umani siamo il peggio del creato.
Tutte le nefandezze che si possono pensare non bastano a riempire l’otre
dei nostri crimini. Abbiamo corrotto anche gli Dei alle nostre meschinità,
e voi ‘moderni’ addirittura un Dio avete fatto nascere a vostra
immagine e somiglianza. Ma c’è un qualcosa che ci eleva dalla
nostra misera condizione ed è la nostra capacità di sognare,
è quella pazza temerarietà che induce alcuni di noi a inseguirli
i sogni pur sapendo che sono irraggiungibili. Ed è proprio in questi
folli voli che diventiamo grandi, che a volte riusciamo a realizzare l’impossibile”.
E “Ma quanto coraggio c’è voluto a
partire per un viaggio fino alla fine del mondo!?!”.
U “No, ti sbagli, non è coraggio è
inconsapevolezza. Tu sai che è una cosa pericolosa, ma in realtà
non lo capisci, non lo senti il pericolo, ne sorridi. E’ questa
la nostra forza, questa leggiadra incoscienza che ci fa affrontare pericoli
immani e credere nei sogni. Se la nostra razza fosse composta da soli
uomini di buon senso saremmo già scomparsi dalla faccia della terra
da millenni”.
E “Mi vuoi dire che quando tu partisti in realtà
era come se stessi giocando a fare l’eroe …”.
U “ Bravo, hai capito! Giocare, giocavo con la
mia vita, con la vita dei miei uomini, giocavo con il sogno di grandezza
dell’uomo e mai avrei avuto il coraggio di partire se avessi veramente
saputo cosa stavo facendo. Solo l’incosciente voglia di giocare,
solo l’irrinunciabile voglia di vivere mi ha permesso di entrare
nella leggenda e di scrivere uno dei più meravigliosi capitoli
della storia dell’uomo …”.
…
Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza
…
Improvvisamente due energumeni vestiti di nero mi prendono di peso e m’imbarcano
su un ascensore che sale. La mia intervista è bruscamente finita.
Certo che è duro digerire che l’eroe più ammirato
di tutti i tempi fosse poco più di un volgare furfante, ma forse
è proprio grazie alla sua umana miseria che è diventato
tanto grande.
Solo che adesso la mia anima, quest’anima tremebonda, mi fa ancora
più paura.
Nota. Mentre cercavo su Internet
notizie su Ulisse, ho scoperto tardivamente che, il 15 giugno del 2010,
all’età di 74 anni, Bekim Fehmiu, l’eccezionale interprete
dell’Ulisse televisivo, era morto, forse suicida.
Dedico queste mie righe all’indimenticabile Ulisse della mia gioventù.
novembre 2011 - revisione del gennaio 2015
|